Peter M. Brant è un ragazzo di appena vent’anni quando a fine anni sessanta entra nel variopinto e affollato universo di Andy Warhol, finendo per comprargli a buon mercato un paio di pezzi; imprenditore così così ma ottimo capitalista, forse vede nelle serigrafie dell’amico le prime opere d’arte a misurarsi con l’immaginario della massa consumista, ed anzi ad utilizzarne i meccanismi per entrarvi a pieno titolo; non gli sfugge la potenziale resa economica di quelle che sono solo le prime opere di una delle più grandi collezioni di arte contemporanea esistenti. Oggi la sua biografia gli dà pienamente ragione. Erede dell’industria di trasformazione della carta cofondata dal padre, trasforma il business allargandosi alla produzione diretta e diventa uno dei più grandi fornitori dei giornali americani fino ad accaparrarsi più del 20% dell’intero mercato. Fatalmente coinvolto nella crisi dell’editoria cartacea rischia negli ultimi anni 2000 di perdere a sua creatura White Birch Paper, piena di debiti ed insolvente. Ristruttura la compagnia chiudendo una delle cartiere e mandando a casa più di 600 dipendenti, ma soprattutto dando in garanzia buona parte delle 15000 opere delle sue collezioni, che, con l’aiuto di una grossa finanziaria, riesce a trasformare in 94,5 milioni dollari contanti e 78 milioni dollari di debito, insieme sufficienti a bloccare il fallimento. Per salvare la carta che lo ha arricchito dà in pegno la carta dei velleitari sogni giovanili.
Nonostante nel 2011 presenti ugualmente istanza di fallimento per ulteriore calo della domanda, non si possono avere dubbi: i suoi Warhol in esposizione per Fondazione Roma Museo a Palazzo Cipolla sono i migliori in circolazione. fino al 28 settembre 2014, informazioni su http://www.warholroma.it/
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