La Centrale Montemartini, lo scrigno di statuaria romana dei Musei Capitolini, ancora sui media esteri. Dopo le attenzioni del New York Times, Il Guardian infatti colloca il museo ricavato dal più articolato e riuscito progetto di archeologia industriale a Roma tra i primi 10 musei europei fuori dai circuiti frequentati dai turisti ma che meritano assolutamente una visita, anche durante soggiorni di breve durata; il suo fascino sembra si debba al contrasto sorprendente tra le collezioni classiche e gli ambienti che le accolgono, nei quali non sono stati rimossi i macchinari e le colossali caldaie con le relative tubazioni, funzionanti dai primi del ‘900 fino al 1963 per produrre l’energia elettrica necessaria alla città.
Con accenti colti si potrebbe dire che con il post-moderno, con la fine della Storia, delle ideologie, delle stili, si è perso il timore innocente e che l’unica cosa che resta da dire apertamente è la dissacrazione del mito, la mescolanza irrispettosa e liberatoria tra le epoche e tra le macerie da esse prodotte.
Ricostruisco il frontone del tempio di Apollo Sosiano al termine di un colonnato fatto di enormi motori diesel perché posso con sincerità dimostrare la mia completa mancanza di riverenza nei confronti del passato che rappresenta; anzi io lo manipolo, lo strappo via dai contesti neutri nei quali al suo valore documentale sono soliti aggiungersi significati mitici: quelli ricavati dallo studio oggettivo come quelli derivati dalla sovrapposizione infinita delle interpretazioni che di esso hanno prodotto le epoche e gli individui. Lo colloco a mio piacimento, dove e come voglio. Esso per me è la pedina di un gioco, una curiosità per il divertimento della mia vita attuale, per l’istante che devo afferrare e godere come tutti i miei istanti ancora da vivere e che sono destinati a terminare. Un tassello cui posso o meno dare un significato, non certo un sistema di valori, un modello cui conformarmi.
Dopo la Breccia di Porta Pia, a partire dagli anni ’80 dell’800 e il primo decennio del ‘900 la Compagnia privata Angloromana, già fornitrice della illuminazione pubblica a gas per la Roma papalina da decenni, costruisce il suo monopolio nella fornitura della rivoluzionaria energia elettrica per le necessità pubbliche di illuminazione e trasporto e per quelle dei privati; monopolio cui nel primo decennio del ‘900 il sindaco Nathan reagisce fondando l’Azienda Elettrica Municipale e dando inizio al processo che porterà alla costruzione del primo nucleo della centrale termoelettrica Montemartini. Più o meno nello stesso lasso di tempo lo sbancamento intensivo dell’Esquilino e zone circostanti, motivato dalla necessità di un nuovo piano urbanistico che facesse posto alla nuova classe dirigente unitaria, fa emergere gli Horti e le Villae aristocratiche della Roma classica da cui provengono la maggior parte delle statue della collezione.
Facendola semplice si potrebbe pensare che i due ordini di eventi si intersechino di nuovo ai giorni nostri per significare non una serena disposizione d’anima nei confronti della memoria e del passato, ma la paura, il terrore di smarrirli per sempre; in ultima analisi un ulteriore, estrema, rinnovata versione del mito e della nostra attitudine di sottomissione ad esso. Dopo la mostra temporanea del 1996 Le Macchine e gli Dei, tra la necessità di trovare un sede espositiva alle statue altrimenti invisibili nei magazzini e la possibilità di dover smontare i macchinari della centrale in disuso si è scelto di conservare e rendere disponibili entrambe alla memoria del mondo.
Lascia un commento