Alla Fiera di Roma dal 5 al 7 settembre si svolge la decima edizione di ZeroEmission Rome 2012, evento cui partecipano aziende, enti e organizzazioni internazionali appartanenti al settore delle energie rinnovabili. Al suo interno Eolica Expo Mediterranean, con un programma di conferenze, workshops, nei quali ricercatori e aziende si comunicano esperienze, tecnologie, innovazioni sull’energia eolica. Una delle linee di progresso nella tecnologia di raccolta del vento tende ad aumentare la rigidità e resistenza del materiale di cui sono fatte le pale, lunghe a volte parecchie decine di metri, diminuendone il peso. Infatti la dipendenza della potenza energetica dall’area di “spazzamento” delle pale induce i progettisti ad aumentarne le dimensioni e di conseguenza il peso sulle torri che devono sostenerle, causando difficili problemi di tenuta strutturale. Mutuando tecniche e materiali dall’areonautica e dalla cantieristica navale, settori da anni alla ricerca di leggerezza e robustezza, le pale eoliche possono essere prodotte in materiali resinosi irrobustiti da un’anima in fibra più leggera, carbonio o vetro generalmente, resistente alle trazioni e alle compressioni, un pò come fa la gabbia metallica che arma il cemento negli edifici. Oggi il processo di produzione di profili e laminati di questi materiali può essere automatizzato per infusione.
Fermo qui, sono l’ultimo anello della produzione, dispongo di materiali e attrezzature che non ho creato, senza i quali nulla potrei fare, ma che senza di me, la mia attenzione e il mio profondo senso di responsabilità, non servirebbero a nulla. Un mio errore adesso vanificherebbe ogni infinitesimo sforzo compiuto non so da chi e non so dove. Atterrito da questo pensiero, pianifico più volte, in silenzio o mormorando tra me, la sequenza delle azioni da compiere; ne valuto i momenti critici e gli esiti nefasti collegati, quelli rimediabili – e per questi immagino percorsi alternativi per tornare indietro – e gli irrimediabili, ai quali associo una sola immagine di inconsolabile costernazione.
Al centro un enorme vascone, copia in negativo di una pala lunga oltre cinquanta metri. In ordine stendo sullo stampo vernice distaccante, una patina di resina, un telo intrecciato di fibra di vetro, un anima in Pvc solcata da stretti canali, attraversata negli incroci da piccoli fori; di nuovo infine uno strato di tessuto di vetro. Copro tutto con un lenzuolo di plastica sottile, sigillandolo ai margini dello stampo. Collego i tubi di aspirazione dell’aria e quelli di infusione della resina. Sono pronto. Accendo le pompe di aspirazioni dell’aria, il telo di plastica aderisce risucchiato alle forme dello stampo, la resina calda si diffonde lentamente ma in maniera continua, occupando ogni rivolo o pertugio, fino ad impregnare completamente i tessuti vetrosi e a imprigionare l’anima in pvc. Mi pulsa il torace; la resina deve raggiungere ogni anfratto dello stampo matrice, prima che il catalizzatore, che qualcuno di là ha versato in precise quantità, ne inneschi il processo di indurimento a temperatura ambiente. Ancora qualche minuto e tutto il materiale sarà da buttare, non più riciclabile come la mia stessa vita. La resina è ovunque, ora è un unico blocco insieme alle fibre di vetro sottoforma di un’elica sovraumana che, distesa, pare riposare tranquilla.
Esamino il mio comportamento appena trascorso e lo trovo irto di errori, sviste, dimenticanze; la pala è qui, perfettamente modellata. Prima, nel sogno, la catastrofe era certa nonostante gli imprevisti li avessi tutti evitati.
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