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Canapa Mundi 2020

13 Febbraio 2020

Canapa Mundi 2020Ci dispiace molto, ma Canapa Mundi, la più grande manifestazione in italia dedicata alla canapa e alle sue mille vite, per la sua VI edizione trasloca dalla nostra Roma-sud verso gli spazi faraonici della Fiera di Roma. Il Palacavicchi, struttura fieristica tra Roma e Ciampino, date le 30.000 presenze degli anni passati, probabilmente non bastava più ad un settore che, pure in mezzo alle incertezze legislative critiche per chi ha deciso di investire, risulta in continua espansione.

Tra agricoltura, nuove tecnologie, artigianato, medicina, edilizia sostenibile, e cibo, gli usi plurali della canapa sono al centro dell’evento nei tre giorni dal 21 al 23 febbraio 2020, sugli 11.000 metri quadri a disposizione, attraverso innanzitutto gli oltre 250 espositori, ma anche con un ricco contorno di workshop, eventi, interventi e con la Conferenza Annuale sulla Canapa, in cui scienziati e imprenditori affronteranno i temi della produzione, della eco-sostenibilità e delle nuove frontiere di legalità in Italia ed Europa per il settore.

Un segnale dell’incertezza nella quale la canapa si trova oggi in Italia è senz’altro l’avviso ai visitatori del fatto che nella fiera non troveranno cartine, cartine arrotolate e filtri arrotolati (gli stessi comunque saranno disponibili all’ingresso da rivenditori con l’autorizzazione ministeriale); l’articolo 18 della Legge di Bilancio 2020 ha incluso infatti questi tra i prodotti in regime di monopolio dello Stato, rendendoli quindi disponibili solo presso i Tabaccai, in realtà applicando una ulteriore tassa sul consumo, con un danno economico per le aziende interessate.

Impresa e business, Lavoro e business

Canova a Palazzo Braschi

7 Febbraio 2020

Canova Eterna Bellezza Roma Palazzo Braschi 2020Roma e Milano riguardo ad Antonio Canova sembrano ignorarsi ma le due grandi mostre in corso – Canova. Eterna bellezza (Museo di Roma, Palazzo Braschi, fino al 15 marzo 2020), Canova Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna (Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo in piazza della Scala a Milano, fino al 15 marzo 2020) – fra loro dialogano intensamente. In fondo il tema è ancora una volta stabilire quanto e in che modo l’arte occidentale non possa prescindere dall’arte classica, quella greca e di riflesso la romana.

Al netto del racconto dei rapporti di Canova con la città, con il potere papale prima e con Napoleone e le corti europee poi, tenute in debito conto le tecniche e le botteghe, il grande successo internazionale, e il ruolo istituzionale infine assunto, a Roma il confronto con la scultura degli antichi si gioca verticalmente, attraverso archeologia e restauro, con i reperti, mentre a Milano si preferisce un approccio orizzontale basato sulle differenze di reinterpretazione che distinguono lo scultore dall’altro grande artista neoclassico a cavallo tra settecento e ottocento.

A Roma quindi l’Amorino alato proveniente dall’Ermitage posa di fianco all’Eros Farnese, copie in gesso dell’Apollo del Belvedere e del Gladiatore Borghese fanno mostra insieme al Perseo trionfante e al Pugilatore Creugante dello scultore veneto. A Milano Grazie, Amore e Psiche, Venere, Ebe di Canova si guardano negli occhi con i medesimi soggetti scolpiti da Thorvaldsen.

Per quanto Canova abbia ammirato il Bernini dell’Apollo e Dafne e deroghi, nel movimento e nell’espressione, alla semplicità, all’austerità, alla calma olimpica della scultura antica, più di quanto faccia Thorvaldsen, è il suo lavoro sulla superficie del marmo, la lucentezza variegata conferita ad esso a forza di raspa e acqua di rota, che moltiplica i volumi all’interno dei corpi; è la cura della luce da ovunque essa provenga a sancire nelle sue statue una piena tridimensionalità, e a decretarne di conseguenza la modernità: le opere d’arte come fine anziché decorazione o parte di un tutto architettonico.

Arte e Mostre

Inaugurata a Cinecittà l’istallazione di Dante Ferretti per Fellini

3 Febbraio 2020

Felliniana-Ferretti sogna Fellini Cinecittà 2020Come promesso, dal primo febbraio 2020 gli studi cinematografici di Cinecittà si sono arricchiti della mostra permanente che lo scenografo Dante Ferretti insieme alla moglie Francesca Lo Schiavo (tre volte premio oscar su dieci nomination in tutto), collaboratori fissi di Fellini a partire da La Città delle Donne in poi, hanno tributato al maestro di Rimini per il centenario della sua nascita. Un percorso articolato, al modo delle wunderkammer, in tre stazioni, immaginate e realizzate dai due scenografi con l’aiuto del loro staff, con il contributo dei costumi di Anna Lombardi, dell’attrezzeria E. Rancati e degli effetti speciali e i manichini degli scultori di Makinarium, insomma una nutrita rappresentanza di quelle maestranze di Cinecittà tanto amate da Fellini.

Felliniana – Ferretti sogna Fellini ricostruisce, attraverso oggetti, manifesti, scenografie, manichini, voci, rumori ed effetti speciali analogici, i luoghi e i personaggi dell’universo immaginario scaturito dal lungo sodalizio tra gli scenografi e il regista. L’automobile Fiat 125 su cui, in giro per Roma durante il tragitto per arrivare a Cinecittà, scambiavano con il regista sogni e fantasie; “La casa di piacere”, il bordello-luna park popolato dalle figure femminili predominanti da La Città delle Donne in poi; il mitico cinema Fulgor, la sala riminese dell’infanzia e dell’adolescenza citata in Amarcord quasi come portale dei sogni. L’istallazione è inclusa nel percorso espositivo che comprende Cinecittà si Mostra e il Miac.

Arte e Mostre, Cinecittà, Via Tuscolana, Vicinissimi

Wilcock 2

28 Gennaio 2020

Wilcock a via DemetriadeQui si finge che lo scrittore Juan Rodolfo Wilcock inquilino di una casa a via Demetriade negli anni settanta, abbia conosciuto Elvino e Mario, due pervertiti assassini, residenti sulla medesima strada e protagonisti della cronaca nera negli anni novanta. Costoro, oltre ad aver condiviso con il poeta la stessa periferia, sembra quasi abbiano sperimentato la deforme ferocia di alcuni dei suoi sogni.

Poco distante dal mio villino gli acquedotti Claudio e Marcio si incrociano scavallando la via Tuscolana e, complice l’innesto monumentale dell’acquedotto Felice, si fingono portale d’ingresso a Roma, la così detta Porta Furba. Sulla medesima via Demetriade che da qui dirama verso l’Appia Nuova, al numero 10 abita il rigattiere Elvino insieme a suo figlio Mario.

Elvino, un uomo intorno ai settanta, è tarchiato ed ha un aspetto precario: la pelle, comunque liscia e rosea, gli pende a sacchetto dagli occhi, e cola come l’olio dalle guance, dal mento e dal collo. Mario, che non giurerei sia figlio naturale, pur tuttavia è sua replica perfetta. Una copia solo più agghiacciante; il sovrappiù di profilo corrotto e portamento sfatto che li distingue entrambi, se grosso modo adeguato all’età del genitore, risulta orrido in un giovane dallo sguardo infantile. L’ex-baracca, riadattata in blocchi di tufo e divisa in due corpi, l’uno di poco più alto dell’altro, oltre a far loro da riparo segna il confine tra la strada e un ampio cortile, per il resto recintato alla buona da lamiere ondulate. Nel cortile vagano, ognuno alla propria velocità, galline, oche e conigli, esistenze guizzanti, inconsapevoli navicelle di angoscia sempre sul punto di sparire. Poi un pozzo vicino a una magnolia spoglia e malaticcia.

Intorno cumuli di stracci, cartoni umidi, giornali, mobilio rotto, arredi sconnessi e immondizia, il tutto disposto a formare argini di sentieri obbligati e angusti, corridoi appena sufficienti al passaggio di una sola persona, disegnati a labirinto da traiettorie casuali e reiterate tra un punto e l’altro del giardino, e tra questi e gli ingressi ai fabbricati.

Un groviglio mai assestato in cui una geometria sommaria ha distinto gli oggetti orizzontali usati da base – blocchi di tufo di risulta, trabeazioni e architravi trafugate da tombe antiche, brande a rete o a doghe, tavolini barcollanti, console con lo specchio eroso, trabattelli da cantiere, divani sventrati e materassi zuppi; poi gli elementi moderatamente verticali da impostare sui primi – pensili da cucina, porte e cancelli divelti, televisori a valvola, poltroncine impero, water incrostati di lerciume, bidèe sezionati, tigri con denti a sciabola di gesso, i medesimi blocchi di tufo posati sul lato più corto; infine, in cima, i rifiuti senza errore giudicati avere virtù verticale – uominimorti e attaccapanni di betulla o di noce, imitazioni marmoree di colonne corinzie, portaombrelli di alluminio, angeli da giardino, abajour, candelabri, collettori da evacuazione in piombo da 11.

Come è prevedibile, tra i cunicoli, le insenature e gli absidi di questa architettura astratta prospera, ancora più astratta, una vegetazione schiumosa di colore verde grigio violaceo, libidine viva di ogni vuoto, senza sosta animata da guizzi, un brusio di rumorini più che saltelli e sgattàioli visibili: bisce dalla testa triangolo, zanzare di Corbyn, blatte con esoscheletro cangiante, e soprattutto enormi ratti baffuti vi conducono una vita non priva di soddisfazioni.

Il vegliardo esce al mattino per condurre le sue ispezioni nei cassonetti e nelle discariche abusive tra Appia e Tuscolana, in mezzo i prati di Tor Fiscale, fino all’Appia Pignatelli e oltre.
Alla fine il bottino al traino può essere magro o soddisfacente, mai nullo o abbondante. Si badi, è questione di procurarsi reddito, ma anche di piccoli atti di metafisica sopravvivenza. Mi spiego. Muratori idraulici elettricisti ristrutturano gli appartamenti, i condomini svuotano le cantine. Poi “conferiscono” – il termine burocratico tende ad attenuare il vandalismo del gesto – quello che non serve più o che occupa spazio inutilmente. Disfarsi di qualcosa è una decisione sofferta, molte volte è l’esito di uno sfinimento interiore, mai comunque una leggerezza. Una volta presa, la decisione è senza appello, non si può tornare indietro; l’oggetto a quel punto è privo dello spirito, l’animella, il soffio debolissimo di coloro che lo hanno utilizzato e custodito a lungo.

Elvino rivolta a fatica con il bastone, esamina, si figura l’eventuale acquirente e valuta quanto potrebbe ricavare; ausculta, diciamo, il fossile di quell’animella, l’impronta da essa lasciata tra patine untuose, parti mancanti e stoffe lacere, perché egli sa proprio quella essere per i suoi clienti il movente decisivo all’acquisto. La poltroncina damascata senza una gamba, la carcassa arrugginita di una caldaia, la radio smanopolata hanno già dato prova di sé a qualcuno, e Elvino ha intuito quanto questo seduca le persone, ebbre di assaporare la propria vita eterna attraverso la metempsicosi dei manufatti.

L’ha intuito ma non l’ha mai compreso. Per lui la discarica è la sfera chiusa e protetta, dove il desiderio può trovare soddisfazione facendo a meno di sfiorare il suo oggetto, anzi il desiderio è questa mancanza. Non è la felicità della iena che, trovata la gazzella cadavere, si appresta a pasteggiare senza la fatica di inseguire il cibo. Piuttosto è il guardare necrofilo senza essere guardati, il convegno amoroso senza l’amato, lo sfogo a senso unico su qualcosa cui non si può resistere ma che non può e non deve interrogare. Il rottame insomma è per lui l’altro in assenza dell’altro.

Trascinandosi Elvino torna al tugurio. Appena dentro al recinto separa quanto potrebbe presto avere un compratore da ciò che giudica meno facilmente commerciabile. Adagia in cortile i pezzi reietti sui cumuli già alti saggiando il loro equilibrio e porta in casa quelli pregiati. Qui pulisce, raddrizza, accomoda l’accomodabile. Si accascia infine sulla piccola porzione di divano-letto libera da ciarpame e afferra la bottiglia di brandy sepolta il giorno prima, tra riviste pornografiche e biancheria sporca. Comincia a bere con la preparazione del pranzo all’orizzonte. Mario in quell’istante vaga tra le gallerie della vicina fungaia dove lavora con Ryszard, un omone polacco dai capelli biondo-spento. Tra breve tornerà.

Elvino ha le palpebre pesanti e incomincia a sognare melodie strazianti sentite da bambino, come da una radio lontana, e questi suoni lo avvolgono in un abbraccio di mamma. Quieto, egli s’accresce, dilaga per l’intero universo. Aspetta così che qualche ragazzino del quartiere, in cerca di un po’ di soldi, lo chiami dalla strada con uno strillo.

Persone, Via Tuscolana

Cent’anni di Fellini. Iniziative a Roma

21 Gennaio 2020

Fellini 100 anni. 2020Fellini nel 2020 compie cento anni. Cinecittà e Roma, la prima come patria creativa, la seconda residenza d’elezione, lo festeggiano con alcune iniziative. La prestigiosa Biblioteca Angelica (nei pressi di piazza Navona) dedica al Maestro, fino al 28 febbraio, la mostra fotografica Federico Fellini Ironico, beffardo e centenario a cura di Simone Casavecchia, trenta scatti per rivelare, attraverso ritratti, sguardi e la sua singolare mimica, un Fellini quotidiano, diverso dalla stella del cinema mondiale.

A Palazzo Altemps il 22 gennaio alle ore 19.30, nell’ambito del Festival Ō Tempo di, Il violinista Yury Revich e il fisarmonicista Pietro Roffi ricordano il grande regista con la musica di Nino Rota, meravigliosa colonna sonora di molti dei suoi film.

Una promessa da mantenere entro la fine di gennaio è il tributo di Cinecittà a quello che è stato il suo più grande inquilino, la mostra-istallazione permanente Felliniana – Ferretti sogna Fellini, pensata e realizzata dallo scenografo premio Oscar Dante Ferretti e da sua moglie Francesca Lo Schiavo che hanno collaborato con il regista in Satyricon, La città delle donne, Prova d’orchestra, E la nave va, Ginger e Fred, La voce della Luna. Un’incursione a tappe nell’universo immaginifico di Fellini al modo delle wunderkammer (camera delle meraviglie) rinascimentali.

Arte e Mostre, Cinecittà, Cinema, Via Tuscolana, Vicinissimi

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