L’Appia è moderna è la mostra visitabile nel Casale di Santa Maria Nova, all’interno del Parco Regionale dell’Appia Antica fino al 13 ottobre 2024. Nessun titolo sarebbe stato più diretto nel raccontare, riabilitandolo almeno in parte, quanto in tema architettura e immaginario è successo all’Appia antica nel corso del novecento.
Partendo dal piano regolatore del 1909 di Edmondo Saint Just e del sindaco Ernesto Nathan, l’esposizione, attraverso disegni, dipinti, fotografie, illustrazioni, manifesti pubblicitari, progetti architettonici e documenti d’archivio, vuole dimostrare come il tracciato dell’Appia tra Roma e i Castelli, con i suoi ruderi millenari e la campagna romana intorno, diventino l’obiettivo di prestigio prima della gerarchia fascista e dell’alta borghesia tra le due guerre e poi della dialettica tra conservazione e sperimentazione architettonica dopo la seconda guerra mondiale.
Dagli alfieri dell’architettura del regime, Marcello Piacentini, i Busiri Vici, Raffaele De Vico, Enrico Del Debbio, con i loro progetti rispettosi del profilo archeologico e rurale del paesaggio, già fortemente immortalato nella grafica di artisti come Duilio Cambellotti, all’audacia di gente come Luigi Moretti, Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, Lucio Passarelli, Carlo Aymonino, in forte contrasto con l’immagine inveterata della campagna romana; e ancora ai lasciti più stridenti come il Sacrario delle Fosse Ardeatine e il ponte di Sergio Musumeci, alle vicende della pop-art, a quelle di Cinecittà Hollywood sul Tevere, fino incredibilmente alle ville costruite per i divi del cinema e della musica (Mangano-De Laurentis tra tutte), compresi gli usi abusivi dei ruderi inglobati nelle costruzioni private.
All’opposto del pensiero quasi sacrale che aveva mosso i papi a metà ottocento, promotori degli interventi di uomini come Luigi Canina che intesero e tentarono di riportare alla luce il passato, di difenderlo e, fermando il tempo, di ricostruire intorno un paesaggio in luogo dell’indistinto abbandono secolare, la mostra accredita il novecento come il tempo della rottura con un immaginario appunto ricostruito e per questo posticcio, diventato stereotipo di un’antichità ferma e intangibile. Fatta salva la differenza di qualità tra i tanti progetti ed edifici realizzati, forse, solo un pochino la mostra ridimensiona anche il senso delle battaglie di Cederna per la difesa dell’Appia e del grande polmone verde che gli sta intorno.