Continua anche in Italia la partita che vede le piattaforme multinazionali di prenotazioni per gli affitti brevi da una parte, e le autorità dall’altra; secondo alcuni la battaglia, al netto dei grandi interessi economici, tra chi sostiene la ventata di libertà senza confini favorita dalla tecnologia e chi vorrebbe prevalesse ancora la forza regolatrice delle autorità pubbliche come argine ad un caos nel quale tutti possono tutto. E’ recente il round tributario.
La Gdf di Milano, su ordine del gip, ha disposto qualche giorno fa il sequestro della considerevole cifra di 779.453.912 euro a Airbnb, dopo una lunga indagine della Procura per reati fiscali. La piattaforma non si sarebbe adeguata al Decreto Legislativo 50/2017 – validato dalle sentenza della Corte di Giustizia Europea e poi quella recentissima del Consiglio di Stato italiano (24 ottobre 2023) -, che all’art. 4 obbliga le società mediatrici ad assumere il ruolo di “sostituto d’imposta” della “cedolare secca” al 21% sugli affitti brevi, in nome e per conto dei proprietari. In questo modo avrebbe evaso di fatto la tassa dal 2017 al 2021.
Ieri poi è arrivata la notizia che dopo un lungo contenzioso Booking.com pagherà 94 milioni di euro all’Erario a ristoro dell’IVA non versata nel periodo che va dal 2013 al 2022, secondo quanto accertato dalla Procura di Chiavari. Booking infatti durante questo periodo non ha rispettato il sistema italiano dell’IVA, e ha utilizzato in maniera errata il metodo del reverse charge – un eccezione normativa che permette di delegare il versamento dell’imposta al proprio cliente se dotato di partita Iva -, non considerando che una buona fetta dei proprietari presenti sulla piattaforma affittano in forma non imprenditoriale, cioè senza la Partita IVA.
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