Per ora Airbnb chiude il contenzioso con l’Agenzia delle Entrate, riguardante il periodo 2017-2021, pagando la considerevole cifra di 576 milioni di euro. Restano da discutere gli anni 2022 e 2023. Ai primi di novembre 2023 la Procura di Milano aveva disposto il sequestro di 779 milioni a carico della piattaforma perché non in regola con la normativa, introdotta appunto nel 2017, che attribuisce agli intermediari degli affitti brevi, quindi essenzialmente alle grandi multinazionali online, il ruolo di sostituti d’imposta per la cedolare secca al 21%, con annesso l’onere di versarla al posto dei proprietari. Il Tribunale ha stimato che il dovuto per la tassa evasa da Airbnb dal 2017 al 2021 ammonti appunto a 576 milioni, dei quali 353 milioni per le ritenute dovute e non versate, 174 milioni di sanzioni amministrative e 49 milioni di interessi.
Airbnb nel suo comunicato diminuisce l’errore fatto facendosi piccolo e meritevole di fronte all’obiettivo più nobile perseguito, ma sostanzialmente appropriandosi della povertà degli altri:
Ci sono migliaia di host in Italia. Oltre tre quarti di loro hanno solamente un annuncio; l’host tipico ha guadagnato l’anno scorso poco più di €3,500.1 Circa due terzi (59%) ha dichiarato che i proventi realizzati ospitando consente loro di arrivare a fine mese…
La gran parte degli host su Airbnb in Italia sono persone comuni che si affidano alla piattaforma per integrare il proprio reddito familiare…
Tuttavia per il futuro si dispone a collaborare pienamente con lo Stato italiano e ad adeguarsi alle normative europee in tema di tasse:
Nell’ottobre 2023, il Governo italiano ha presentato la Legge di Bilancio per il 2024 che, nella sua versione attuale, chiarisce come le piattaforme dovrebbero effettuare in futuro la ritenuta delle imposte sul reddito degli host non professionali in Italia. Abbiamo accolto con favore questa proposta normativa e ci stiamo preparando ad adempiere, con l’introduzione di un meccanismo di trattenuta e versamento delle imposte sui redditi degli host rilevanti all’Agenzia delle Entrate.
Airbnb sta inoltre lavorando per conformarsi a DAC7, la normativa quadro europea sulla trasmissione dei dati fiscali da parte delle piattaforme digitali. Queste regole sono pensate per permettere alle autorità nazionali di raccogliere le tasse dovute supportando al contempo un sistema di trasmissione dei dati coerente e standardizzato. Abbiamo già informato gli host italiani di come questi cambiamenti si rifletteranno sulla loro attività tramite Airbnb e continueremo a chiedere loro le informazioni previste da DAC7 prima che queste vengano condivise con l’Autorità fiscale in Irlanda (dove Airbnb Ireland ha la propria sede) nel gennaio 2024, e successivamente all’Agenzia delle Entrate.
Airbnb accoglie con favore anche i progressi in materia di regole per gli affitti brevi, compresa la creazione di un sistema di registrazione nazionale in Italia e il quadro europeo di condivisione dei dati. Questi progressi renderanno più semplice per i centri storici come quelli di Venezia e Firenze comprendere chi ospita e quanto a lungo, consentendo di sviluppare politiche pubbliche proporzionate al fenomeno. L’azienda è determinata a collaborare con le autorità italiane per il successo di queste regole.
Su questo cammino, tra le difficoltà maggiori per la piattaforma, c’è quello di impostare un sistema automatico che la metta in grado di distinguere tra gli annunci di affitti brevi puri, quelli cioè che hanno opzionato la cedolare secca come forma di tassazione, da quelli – anche non professionali quali a Roma i bed and breakfast e case vacanza non imprenditoriali che operano con SCIA comunale – che hanno scelto o sono obbligati a pagare l’Irpef nella dichiarazione annuale come reddito occasionale, avvalendosi del rigo “Redditi Diversi”; in tutto questo naturalmente si dà per scontato che sia invece facilissimo scorporare le proprietà che operano come imprese, in regime di Partita Iva.
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