All’incirca tra i 5 e 2 milioni e mezzo di anni fa il centro di Roma pliocenico, Palatino compreso – responsabile un moto distensivo che andava a sollevare la catena appenninica dalla parte adriatica e ribassava il versante tirrenico – è un fondale marino costiero di apprezzabile profondità sul quale si depositano senza sosta strati di argille marnose e argille sabbiose ad alta concentrazione di residui organici marini e poco altro; i geologi oggi chiamano lo stadio sedimentale risultante, dalla forti caratteristiche di impermeabilità, Unità di Monte Vaticano, in onore del luogo in cui questa formazione è meglio studiata.
I successivi movimenti tettonici che interessano l’arco appenninico in pieno Pleistocene medio inducono l’emersione di questi fondali, i quali diventando zona costiera depressa su cui sedimentano corsi d’acqua, paludi e fiumi. Sempre i geologi, nella zona del Palatino chiamano l’ulteriore strato Formazione di Santa Cecilia, datandolo a partire da circa 600000 anni fa. Costituita da argille e limi, sabbie e ghiaie, in questo caso di ambiente fluviale, fluvio-lacustre o lagunare, essa, forte anche della tenuta impermeabile della formazione precedente, diventa sede della falda che raccoglierà la gran parte delle acque meteoriche e di quelle provenienti dalle zone circostanti.
Contemporaneamente, sempre intorno alla stessa epoca, comincia l’attività dei Vulcani Albano e Sabatino che ricopre tutto con una spessa coltre di polveri piroclastiche. I ripiani così affastellati insieme ai riporti umani di epoca storica – nel continuo alternarsi di ere glaciali ed interglaciali con le relative variazioni del livello del mare – costituisce la base che sarà via via sezionata in forma di colli dall’attività erosiva e alluvionale del Tevere e dei sui affluenti, e dalla quale affioreranno, proprio a ragione del lavorio erosivo dell’acqua di superficie, falde acquifere in forma di sorgenti. Tra esse il Lacus Iuturnae, alla pendici del Palatino prominenti il Foro.[Continua]